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La valigia della nostalgia

 


La valigia della nostalgia
Quando Samir partì dal suo paese, portò con sé una vecchia valigia di tela, consumata agli angoli e con una cerniera che cigolava. Dentro non c’erano solo vestiti o documenti, ma i frammenti della sua vita: una foto di famiglia ingiallita, un piccolo Corano donato dal padre, e un po’ di terra avvolta in un fazzoletto di lino.

La chiamava "balutele", come faceva suo nonno, emigrato prima di lui. Ogni volta che la apriva, sembrava liberare i profumi e i ricordi della sua terra. Nei freddi inverni del nord, bastava aprirla per sentire il sole dell’estate, le voci del mercato, e il calore della casa.

Col tempo, la valigia si riempì di nuove cose: lettere non spedite, pagine di diario, fotografie di amici conosciuti lontano. Ma quella piccola manciata di terra, custodita come un tesoro, restò sempre lì.

Un giorno, Samir tornò. Non sapeva se fosse per sempre, ma portava con sé la balutele. La posò sotto l’albero del giardino di casa e, per la prima volta da anni, la aprì senza lacrime. Aveva capito che la vera casa non è solo un luogo, ma qualcosa che porti con te ovunque — anche dentro una vecchia valigia.

Nel silenzio dell’esilio – Parte finale

La notte del ritorno fu silenziosa. Nessuna festa, nessuna musica, solo sua madre, in piedi sulla soglia di casa, con gli occhi lucidi e il cuore tremante. Lo abbracciò come se volesse trattenere tutti gli anni passati lontano in quell’unico momento.

Entrò in casa lentamente. Tutto era come prima: le pareti scrostate, il profumo del pane caldo, il vecchio tappeto steso in salotto… ma tutto gli sembrava più piccolo. O forse era lui a essere cresciuto, cambiato, trasformato dalla lontananza.

Il giorno dopo camminò per le strade del villaggio. I vicini lo salutavano con affetto:
— "Pensavamo non saresti mai tornato", gli disse una donna anziana.
Lui sorrise con malinconia:
— "A volte bisogna perdersi per capire davvero dov'è casa."

Sedette poi con sua madre sotto l'albero di fichi. Lei parlava dei vicini, di chi era morto, di chi si era sposato, di chi era partito. Lui ascoltava in silenzio, mentre lo sguardo vagava nel cielo d’infanzia, quello che non cambia mai.

Quella sera aprì la sua vecchia valigia. Tra gli abiti sgualciti e le lettere mai spedite, c’era ancora il quaderno. Lo sfogliò, rilesse le parole scritte in notti fredde e solitarie, poi chiuse gli occhi e sussurrò:
— "Qui è iniziato tutto. E qui, forse, troverò la mia pace."

Ma la verità che aveva imparato era chiara: l’esilio non finisce quando torni, ma quando smetti di sentirti straniero nel cuore.

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cherki

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